Storia dei dolci sardi

La storia dei Dolci Sardi

La Sardegna ha alle spalle una cultura dolciaria prestigiosa, secolare, che riesce a far tesoro di pochi ingredienti combinandoli con rara maestria. E riveste una fondamentale importanza il voler preservare, anche per i Dolci Sardi, il patrimonio di tradizioni tramandato dalle generazioni passate.
Il rispetto e la fedeltà verso le antiche ricette genera anche ai giorni nostri un’ampia gamma di dolci tipici, che spiccano con la loro prelibatezza sulle tavole imbandite dei sardi ed in qualsiasi rito religioso o pagano. Abbiamo oramai alle porte una di queste ricorrenze, la Pasqua, dove i dolci rivestono il ruolo d’attore principale. 
Da sempre nell’Isola Sarda si vive con grande intensità il periodo Pasquale, nel quale le donne hanno l’usanza di ritrovarsi per creare con le loro sapienti mani pani e dolci tipici che riescono ancora oggi a conservare immutati sapori e tradizioni che poggiano le loro radici all’alba dei tempi. 
Visto il fatto che sarebbe un’opera immane disquisire su tutti i vari tipi di Dolci presenti sulla nostra terra, decidiamo di raccontarti qualcosa in più perlomeno su alcuni di loro.

PARDULAS

Senza dubbio alcuno tra i dolci eletti a simbolo della Sardegna non possono mancare le Pardulas, deliziose sfoglie con un ripieno che è una vera e propria esplosione di gusti contrastanti. La loro bontà ha varcato i confini sia regionali che nazionali, un prodotto dolciario apprezzato dunque in tutto il mondo e facente parte del PAT (Prodotti Sardi Agroalimentari Tradizionali).
L’antica identità dell’Isola Sarda si esprime anche attraverso questi dolci da vassoio, nei secoli sfornati dal meticoloso lavoro delle maestre “druccere” che proseguono nel regalarci veri e propri tesori per allietare il palato. E nella nostra antica tradizione un pasto non può segnare il suo epilogo se non compaiono sulla tavola dei dolci come le Pardulas
La complessità di questo dolce la si capisce meglio anche per le differenti elaborazioni dello stesso in base alla zona della Sardegna dove viene realizzato: Pardule o Pardulas con Arrescottu se ci troviamo nel Campidano ed hanno come base la ricotta, Formaggelle o Ricottelle se invece stiamo nel Sassarese, oppure Casadinas se le assaporiamo nel Nuorese e se vengono preparate con il formaggio fresco di pecora a sostituzione della ricotta.
Interpretazioni diverse originate da un’unica, antichissima ricetta la cui nascita si perde nel tempo, discendente dalle “placente” d’origine greco-romana, piccole tortine di sfoglia la cui preparazione ed ingredienti sono menzionati addirittura nel “De Agri Cultura” di Catone.
Non è certa l’etimologia del nome Pardulas, taluni indicano l’origine nella parola latina quadrula, ovvero quadrato, che ne descrive la forma geometrica mentre altri, come ad esempio il poeta/docente dell’Università di Aristan che usa lo pseudonimo “Il Giardiniere”, vedono in partula, ossia partoriente, la sua genesi. A primo acchito potrà sembrare strano questo collegamento, ma in realtà viene spiegato associando la forma della pancia della donna in dolce attesa a quella delle Pardulas, generando l’allegoria della morbida cupola che cela l’anima più preziosa della Sardegna, che da lì a poco verrà alla luce in quel caratteristico tripudio di sapori fragranti di zafferano, limone ed arancio che convivono alla perfezione con la ricotta o con il formaggio.
La letteratura ci ha regalato pagine d’importanti autori che nelle loro narrazioni hanno parlato anche delle Pardulas, ed uno tra questi è Antonio Gramsci che in una delle lettere inviate dal carcere alla madre ha sognato di rivivere uno di quei pranzi dove in armonia si riuniva tutta la famiglia attorno a “kulurzones e pardulas”
In principio questi dolci si legavano alla Pasqua, venivano realizzati il sabato Santo, ma al contempo erano onnipresenti sulle tavole dei Sardi anche la vigilia del giorno dei morti, per essere simbolicamente e con devozione donati alle animeddas, le anime dei defunti.
Le pardulas, in certi paesi del cagliaritano e dell’oristanese, fungevano da ancestrale regalo a Maria Puntaoru, l’orrida strega delle leggende sarde che girovagava tra i paesi dell’Isola con un lungo ferro ricurvo e con una fame insaziabile. La tradizione narra che nella notte a cavallo tra il 31 ottobre ed il 1 novembre, venivano lasciate aperte le porte delle case affinché lo spirito stregonesco potesse entrare e mangiare a sazietà i dolci, preservando in tal modo dal suo ferreo attrezzo il ventre dei bambini golosi.
Alla vista questi dolci appaiono quasi come un fiore, un succulento piccolo cesto con i bordi ornati a mo’ di centrino, effetto creato dall’antico, tramandato gesto di pizzicare nei quattro angoli la pasta durante la cottura. La forte connotazione con la propria terra, con le proprie tradizioni, è un innegabile qualità del popolo Sardo ed anche il perpetuare dopo secoli questa ricetta è l’ennesima conferma dell’amore verso un dolce che ha travalicato magicamente le barriere del tempo. 

AMARETTUS

Il fulcro della tradizione dolciaria della Sardegna è indubbiamente la mandorla, ingrediente ampiamente usato nella lavorazione di parecchi dolci tipici (torrone, gueffus, pabassinas, copulettas etc.) ed ovviamente ben presente anche negli Amarettus.
Una scorza deliziosamente croccante che protegge un morbido e profumato cuore di mandorla, dall’originale sapore che ha dapprima rapito il gusto dei sardi per poi essere apprezzato anche dai turisti come una delle specialità predilette nel ventaglio dolciario Sardo. 
Le diverse epoche si sono susseguite ma immutata è ai giorni nostri la ricetta degli Amaretti Sardi, che si basa sempre su mandorle sia dolci che amare, zucchero ed albume d’uova. Fanno parte delle abitudini alimentari del Sardo, usualmente si degustano per le feste, che sia Natale o Pasqua, ma non si disdegnano durante cerimonie o ricorrenze di sorta e rappresentano il perfetto dolcetto per gli ospiti per accompagnare anche un semplice caffè. 
In generale gli Amarettus non sono mai fuori posto ed anche la stragrande maggioranza dei ristoranti tipici sardi disseminati da nord a sud dell’Isola li utilizzano a fine pasto in abbinamento con i liquori della tradizione come ad esempio il Mirto oppure su Fil'e Ferru (una qualità di acquavite). 
Il successo decretato da queste prelibatezze dolciarie spesso sta proprio in quel retrogusto amarognolo derivante per l’appunto dalle mandorle amare, che miete consensi anche in chi preferisce un dolce non eccessivamente tale. 
E per di più è stata attestato un elevato standard qualitativo delle mandorle sarde rispetto a quelle estere, contraddistinte da una concentrazione d’acqua più bassa rispetto alla norma e da un ben più marcato profumo, la cui intensità contribuisce ad innalzarne la qualità rispetto a tutti gli altri tipi venduti nel resto d’Italia. 
È un più che valido motivo per orientare l’acquisto solamente sugli Amarettus Sardi!

GUEFFUS

I Gueffus o Guelfos o Sospiri sono tre differenti modi, in virtù della diversa provenienza geografica, con cui vengono riconosciuti questi altri tipici dolci Sardi. Dalla forma rotondeggiante ed avente come ingredienti sempre le mandorle dolci tritate, lo zucchero ed il limone: ed il tutto viene rigorosamente avvolto in foglietti di carta colorata. 
A cosa dobbiamo questo nome così particolare? Dove ricercarne la sua origine?
Lo studio della Storia della Sardegna ci indicherebbe di percorrere la strada della lunga dominazione Spagnola alla ricerca degli insegnamenti in merito all’arte del Guelfus, nel momento in cui lo zucchero, uno dei due principali ingredienti della ricetta, diventava di comune utilizzo. Però andando più a fondo nella ricerca dobbiamo constatare il fatto che, proprio in Spagna, non esiste alcunché di similare; al massimo qualche assonanza nel nome, ad es. i Suspiros, ma poiché trattasi di meringhe nulla hanno a che vedere con le nostre golose palline di mandorle. 
Altra ipotesi lega il nome dei Gueffus ai caratteristici tagli di forbice marcati nella carta velina colorata che avvolge i dolcetti, creando come delle frange sui lati estremi che riecheggiano alla mente le torri merlate dei castelli ghibellini risalenti all’epoca tardo medievale.
Terza ma non meno valida ipotesi, quella più sentimentale, che identifica i Guelfus con il Conte Guelfo della Gherardesca, figlio primogenito del ben più conosciuto Conte Ugolino, che dopo esser convolato a nozze con Elena, una delle belle figlie del re Enzo di Sardegna, alla fine del 1200 si allontanò da Pisa per stabilirsi nella città di Villa di Chiesa, l’antico nome con il quale veniva chiamata l’attuale Iglesias. 
Ma anche in questo caso il dubbio permane, legato al fatto che in quel periodo lo zucchero fosse ancora molto prezioso, utilizzato esclusivamente dagli speziali.
A prescindere però dalle più disparate ipotesi sulla nascita dei Gueffus, una certezza resta: la speciale bontà di questo piccolo, grande dolce della terra Sarda. Ed una volta assaggiato è veramente complicato farne a meno! 

BIANCHINI

Ennesimo caso di prodotto dolciario Sardo che, in base alla zona dell’Isola dove viene sfornato, assume nomi diversi come Bianchittos, Marigosos, Bianchinos, Bianchittus
Altro non sono che le meringhe sarde, dolci caratteristici di tutta la Regione che si preparano in modo semplice con l’albume dell’uovo montato a neve dandogli una forma piramidale, creando una struttura particolarmente friabile che svela un morbido interno guarnito di mandorle dolci.
Negli antichi racconti delle donne di Sardegna si narra che i Bianchini fossero rigorosamente gli ultimi a varcare la soglia del forno a legna per essere cotti, sempre dopo il pane ed eventuali altri dolci; il perché è spiegato dal fatto che, per preservare la morbidezza del ripieno, hanno necessità di una lunga cottura a temperature decisamente basse.
Le tradizioni popolari tramandano poi un altro curioso particolare, l’arcano “segreto” che permetterebbe alla crema di montare alla perfezione…chi si accinge a preparare i Bianchini dovrà essere rigorosamente solo e senza alcun occhio addosso che scruta la sua opera dolciaria!
Per quanto riguarda invece la decorazione di questo dolce tipico sardo, quella che più spesso si utilizza è composta da piccoli confettini di zucchero, a volte argentati a volte colorati che vengono disseminati lungo tutta la superficie del dolce.  
Oltre che nel comune uso i Bianchini vengono tradizionalmente scelti per ogni genere di cerimonia, dal matrimonio al battesimo, dall’anniversario alla festa di Laurea. 
E quale chiosa una piccola ma concreta raccomandazione: evitate di scambiare i Bianchini Sardi con quelli provenienti da altre regioni d’Italia, perché riscontrerete delle sensibili diversità e quella che balzerebbe più agli occhi sarebbe proprio la carenza di quella particolare corposa morbidezza del suo mirabile ripieno.

PANE SAPA

Percorrendo da Nord a Sud la Sardegna, lungo strade e campi abbonda una pianta che assurge ad essere uno dei simboli della nostra terra, vale a dire il Fico d’India. Soprattutto in passato, quando era più radicata la civiltà contadina, la sua bontà rappresentava un valido sostegno per le purtroppo scarse risorse economiche delle famiglie. Le varie parti venivano sfruttate appieno per gli usi più disparati, dalla fertilizzazione all’uso come combustibile, dalla preparazione di medicamenti alla recinzione dei terreni.
Ma le parti più pregiate del Fico d’India sono i suoi frutti, elementi integranti dell’alimentazione sia umana che animale dell’Isola, nel passato come ai giorni nostri. Ed inoltre da queste succulente bacche le famiglie sarde più povere producevano un vero e proprio nettare, la Sapa. I nostri antenati fecero di necessità virtù perché la ricetta nacque per trovare una valida alternativa all’uva ed al mosto, ben poco abbordabili per la maggioranze delle tasche: ed il risultato raggiunto fu strepitoso poiché la Sapa di Fico d’India era buona come minimo quanto quella prodotta dall’uva.
Nelle case dei nostri avi veniva spesso custodita una bottiglia di Sapa, alla pari di un estratto miracoloso, la cui preparazione era molto laboriosa e necessitava di un’alta competenza culinaria; tra l’altro costituiva il fondamentale ingrediente nella produzione dei dolci, soprattutto del “pane di sapa” (in sardo “su pan’e saba”). 
Parliamo di un dolce dal sapore particolarmente netto, dal colore molto scuro e dall’inconfondibile profumo, tradizionalmente preparato in inverno per onorare la festa di Ognissanti e commemorare il giorno successivo i propri morti; oggi è oramai usanza consumarlo sulle proprie tavole anche in altri periodi dell’anno come a Natale, Capodanno e Pasqua. 
Farina (preferibilmente di grano duro), sapa (che ne sancisce il colore scuro ed il dolce gusto), uva sultanina, mandorle, noci, cacao amaro: singoli ingredienti che accortamente dosati si trasformano nel Pane di Sapa, un sorprendente ed esclusivo dolce tipico sardo che consente al palato di vivere un’esperienza unica.

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